giovedì 8 settembre 2011

35 - L'apparenza e la sostanza - Daria

Mary Taken, la mia punkabbestia compagna di casa, in realtà si chiamava Maria Assunta, come la nonna paterna, ora ultranovantenne.
A dispetto delle sembianze "trucide", era di una dolcezza infinita, non solo nei modi, ma anche nel tono della voce, nelle parole usate, nelle attenzioni che quotidianamente aveva per me.
La casa a soqquadro, il primo giorno, non era stata opera sua. Lei, infatti, era arrivata la sera prima e non aveva fatto in tempo a rassettare tutto.
Aveva preferito non porre la questione alla padrona di casa per "... non cominciare col piede storto la nuova vita".
La mattina si svegliava presto, verso le 6, senza bisogno della sveglia. Faceva colazione con latte e cereali, senza caffè. Qualche volta, per cambiare, yogurt e fette biscottate con la marmellata.
Poi usciva per una corsetta di circa mezz'ora, stretching e doccia. Sempre, ogni mattina, tranne la domenica che preferiva dedicare alla messa delle 7. Non era una cattolica convinta... ma l'andarci la faceva sentire bene, in pace con se stessa.
Ai piercing e ai tatuaggi mi abituai in fretta e dopo un paio di settimane non ci feci più caso. Effettivamente ne aveva tanti. Troppi, direi.
Una catenina le collegava la narice all'orecchio destro. Sullo stesso orecchio, nella parte posteriore del padiglione, era tatuato un geco verde. Sulla lingua aveva due sferette d'oro. Altri piercing non me li fece mai vedere. Aveva un anello per ogni dito, ma li indossava solo prima di uscire... in casa le davano fastidio.
Un altro tatuaggio, questo brutto, le fasciava tutto il fianco destro. Doveva essere una specie di totem maya o azteco, ma l'inchiostro, probabilmente di scarsa qualità, s'era diffuso sotto la pelle, rendendo i contorni indefiniti.
Cominciò a farsi chiamare Mary Taken (cioè Maria Assunta) quando dovette scegliere un nick name per la posta elettronica. marytaken@gmail.com.
Studiava molto più di me, ma non appariva mai stanca. Tutt'al più andava a letto presto, mentre io ed i miei amici restavamo fino a notte inoltrata a bere birra, fumare ed ascoltare musica. Avrebbe, giustamente, potuto chiedere di abbassare la voce, di fare meno chiasso. Preferiva invece mettere i tappi nelle orecchie. A definirla così sembrerebbe quasi una santa... ma forse ora sto esagerando un po'.
Era sempre taciturna, passava ore e ore nella sua stanza. C'erano giorni in cui non si affacciava nemmeno per mangiare. Non comprendevo se era la mia presenza a darle fastidio, oppure, era semplicemente introversa o tormentata da qualcosa; a volte sembrava che volesse espiare una colpa, infliggendosi la solitudine. Era sempre vestita di nero, anche il trucco, pesante e scuro, un "dark style" in pandant con la sua personalità ambigua, misteriosa. Passarono mesi prima che si aprisse un pò con me, probabilmente apprezzò il fatto che, sin dall' inizio, avevo rispettato i suoi silenzi, i suoi spazi, la sua solitudine. Quando ebbi modo di accedere al suo "mondo" rimasi interdetta. A differenza della mia, la sua stanza non era illuminata, le tapparelle erano chiuse e lasciavano passare solo qualche raggio di sole; inoltre, l'aveva riempita di tende scure, perciò era immersa nella penombra. Probabilmente l'oscurità silenziosa era la sua fonte di ispirazione. Era piena di disegni affissi sul muro e tele miste sparse un pò dappertutto: alcune raffiguravano paesaggi, più che altro mari in tempesta, cieli minacciosi spaccati da fulmini, alberi piegati dal vento; altri, invece, erano astratti e creavano vortici di colori in rialzo che davano un senso di profondità, ma anche di smarrimento e di vuoto. Quella stanza era piena di messaggi celati che solo poche persone avrebbero potuto interpretare. Lì dentro c'era la sua anima, le sue ferite, le sue cicatrici.
La nostra amicizia fu vera, finchè non conobbi e mi misi con Giammichele.

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