venerdì 14 ottobre 2011

59 - Il dovere ti chiama - Daria

La voglia di andare alla festa di laurea di Giammichele era pari a zero. Così come zero era il desiderio di stare in mezzo a tanti estranei.
Era una di quelle sere in cui ti va solo di addormentarti sul divano davanti alla TV, sotto una copertina leggera e morbida, rannicchiata contro la spalliera. Federico ha insistito e ho dovuto cedere.

Abbiamo trascorso tante sere come questa, chiusi in casa a causa mia. Ed ora che posso uscire tranquillamente, senza quella stupida ed irragionevole vergogna mista ad imbarazzo per la parrucca o la bandana che ero costretta ad indossare per non attirare gli sguardi dei passanti, carichi di commiserazione e tristezza, non sarebbe stato giusto costringere Fede ad andare da solo o, peggio, a non andare affatto. Non ci teneva neanche lui ma sarebbe stato troppo scortese mancare. E sarebbe stato, per i bambini, la prima volta in discoteca: mi piaceva l'idea di fargli questo regalo. 
Appena entrati lasciammo i cappotti al guardaroba. Anni prima non l'avremmo fatto: in questi casi si faceva la montagnozza su un divanetto, per risparmiare qualche euro.
Le luci erano ancora tutte accese; dall'altro lato della pista ancora deserta vidi Giuseppe che chiacchierava con una donna di mezza età. Alzò lo sguardo e ci vide. Fece un cenno, si accomiatò e venne verso di noi. Contemporaneamente Giammichele sbucò alle nostre spalle. Abbracciò prima me, poi Federico, poi scherzò con i bambini, poi si gelò di colpo e disse: "È arrivato anche lui: ciao Giusè, come cazzo ti sei vestito? Che fai il cameriere in pizzeria?" Si strinsero la mano come due conoscenti ed il gelo si irradiò in tutti noi.

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